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Buchi neri: stanno crescendo troppo velocemente?

Una scoperta sensazionale scuote l'astrofisica: un buco nero supermassiccio sfida le leggi della fisica, crescendo a un ritmo 'impossibile'. Quali implicazioni per la nostra comprensione dell'universo primordiale?
  • Scoperto buco nero RACS J0320-35 a 12,8 miliardi di anni luce.
  • Crescita: inghiotte tra 300 e 3.000 masse solari all'anno.
  • Corona RX J1131: dimensione di circa 50 unità astronomiche.

Scoperto buco nero da un miliardo di soli

Un team internazionale di ricercatori, con una forte partecipazione italiana, ha fatto una scoperta sensazionale che sta scuotendo le fondamenta dell’astrofisica moderna. Guidati da Luca Ighina, gli scienziati hanno identificato un buco nero supermassiccio, denominato RACS J0320-35, situato a una distanza di 12,8 miliardi di anni luce dalla Terra. Questa distanza è tale che stiamo osservando il buco nero come appariva meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang, in un’epoca in cui l’universo era ancora agli albori.

La scoperta è stata pubblicata su The Astrophysical Journal Letters e rivela che RACS J0320-35 possiede una massa pari a un miliardo di volte quella del nostro Sole. Ma ciò che rende questo oggetto celeste particolarmente interessante è la sua velocità di crescita: il buco nero sta inghiottendo materia a un ritmo compreso tra 300 e 3.000 masse solari all’anno. Questo tasso di accrescimento supera il cosiddetto limite di Eddington, la soglia teorica che determina la massima velocità con cui un buco nero può accumulare materia senza diventare instabile. In altre parole, RACS J0320-35 sta crescendo a un ritmo “impossibile”, sfidando le nostre attuali conoscenze sulla fisica dei buchi neri.

Cosa ne pensi?
  • 🚀 Che scoperta incredibile! Questo buco nero sta riscrivendo le regole......
  • 🤔 Crescita 'impossibile'? Forse le nostre teorie sono incomplete......
  • 🌌 E se questi buchi neri fossero portali per altre dimensioni...?...

Il ruolo chiave del telescopio Chandra e il contributo italiano

Le osservazioni che hanno portato a questa scoperta straordinaria sono state possibili grazie al telescopio spaziale Chandra della NASA, che ha analizzato le emissioni di raggi X provenienti dal quasar alimentato dal buco nero. Un quasar è un nucleo galattico attivo estremamente luminoso, alimentato dalla materia che cade in un buco nero supermassiccio. La luce emessa da un quasar può superare in brillantezza quella di intere galassie, rendendoli visibili anche a distanze cosmiche.

Il contributo italiano a questa ricerca è stato significativo. Oltre alla leadership di Luca Ighina, hanno partecipato ricercatori dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) di Milano e Bologna, dell’Università di Bologna, dell’Università dell’Insubria e dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Milano. Alberto Moretti dell’INAF “ha sottolineato l’importanza di misurare la massa e il tasso di crescita del buco nero per stimare le sue dimensioni alla nascita e testare le teorie sulla formazione dei buchi neri giganti”.

RACS J0320-35 non è solo un buco nero supermassiccio, ma anche una finestra sull’universo primordiale. Studiando questo oggetto, gli scienziati sperano di comprendere meglio come si siano formati i primi buchi neri giganti e le prime galassie. Una delle ipotesi è che RACS J0320-35 sia nato come un buco nero relativamente piccolo, derivante dal collasso di una stella massiccia, e che abbia poi subito una crescita esponenziale fino a raggiungere le dimensioni attuali.

Uno sguardo ravvicinato alla corona di un buco nero grazie a un “doppio zoom” cosmico

Parallelamente alla scoperta di RACS J0320-35, un altro team di astronomi ha compiuto un passo avanti significativo nello studio dei buchi neri, riuscendo a osservare con una nitidezza senza precedenti la corona di un buco nero supermassiccio chiamato RX J1131. Questo risultato è stato ottenuto grazie a una tecnica di “doppio zoom” astronomico, resa possibile da un raro allineamento cosmico.

RX J1131 si trova a circa 6 miliardi di anni luce dalla Terra e ruota a una velocità superiore alla metà di quella della luce. Il buco nero stesso rimane invisibile, ma la sua presenza è rivelata dalla materia circostante, gas e polveri che si riscaldano a temperature di milioni di gradi mentre vengono attratti verso l’orizzonte degli eventi. Questo processo genera un quasar potentissimo, la cui luce è stata amplificata e distorta da un effetto di lente gravitazionale.

La corona del buco nero, un alone di gas surriscaldato che lo circonda, ha una dimensione stimata di circa 50 unità astronomiche (AU), pari al diametro del nostro sistema solare. La tecnica del “doppio zoom” ha permesso agli astronomi di studiare la corona con un dettaglio senza precedenti. Il primo livello di ingrandimento è stato fornito da una galassia posta a circa 4 miliardi di anni luce da noi, che ha agito da lente gravitazionale forte, curvando e amplificando la luce proveniente dal quasar. Il secondo livello di ingrandimento è stato ottenuto grazie a un fenomeno di microlensing, causato da singole stelle all’interno della galassia di primo piano, che hanno agito come lenti più piccole e variabili, amplificando temporaneamente porzioni diverse della corona.

Analizzando dati raccolti nel corso di decenni dal telescopio radio ALMA in Cile, il team ha notato variazioni di luminosità indipendenti nelle diverse immagini del quasar formate dalla lente principale. Tali fluttuazioni hanno indicato che il microlensing causato dalle stelle in primo piano stava interessando zone distinte della corona. Si tratta della prima misurazione diretta della corona di un buco nero su una scala di tale estensione.

Questi dati osservativi hanno evidenziato che l’emissione a lunghezze d’onda millimetriche, contrariamente alle aspettative, non è costante, ma può mutare anche nell’arco di pochi giorni. Comprendere la corona e le sue fluttuazioni è cruciale, poiché essa è strettamente legata ai campi magnetici che avvolgono il buco nero, i quali modulano sia l’ingresso di materia sia l’espulsione di gas e getti. Tali meccanismi definiscono l’evoluzione e la crescita di un buco nero nel tempo.

Implicazioni e prospettive future: verso una comprensione più profonda dei buchi neri

Le scoperte di RACS J0320-35 e della corona di RX J1131 rappresentano importanti passi avanti nella nostra comprensione dei buchi neri e del loro ruolo nell’evoluzione dell’universo. La scoperta di un buco nero che cresce a un ritmo superiore al limite di Eddington solleva interrogativi fondamentali sulle teorie attuali e suggerisce che potrebbero essere necessari nuovi modelli per spiegare la formazione e l’evoluzione dei buchi neri supermassicci nell’universo primordiale.

La possibilità di osservare la corona di un buco nero con un dettaglio senza precedenti apre nuove prospettive per lo studio dei processi fisici che avvengono nelle immediate vicinanze dell’orizzonte degli eventi. Comprendere la struttura e la dinamica della corona è essenziale per capire come i buchi neri interagiscono con l’ambiente circostante e come influenzano l’evoluzione delle galassie.

Il futuro della ricerca sui buchi neri si preannuncia ricco di promesse. L’utilizzo di telescopi sempre più potenti e di tecniche di osservazione innovative, come le lenti gravitazionali, permetterà agli astronomi di esplorare l’universo in modo sempre più dettagliato e di svelare i misteri che ancora avvolgono questi oggetti celesti affascinanti e misteriosi.

Oltre l’orizzonte degli eventi: riflessioni sulla space economy e il futuro dell’astrofisica

Queste scoperte, oltre al loro valore scientifico intrinseco, ci invitano a riflettere sul ruolo crescente della space economy nella ricerca astrofisica. L’esplorazione dello spazio e lo sviluppo di tecnologie avanzate, come i telescopi spaziali, sono diventati strumenti indispensabili per studiare l’universo e per rispondere alle domande fondamentali sulla sua origine e sulla sua evoluzione.

Una nozione base di space economy applicabile a questo contesto è il concetto di “beni pubblici globali”. La conoscenza scientifica derivante dalla ricerca astrofisica, come la comprensione dei buchi neri, è un bene pubblico globale che beneficia l’intera umanità. La space economy, attraverso il finanziamento e lo sviluppo di infrastrutture spaziali, contribuisce alla produzione di questi beni pubblici globali.

Una nozione più avanzata è quella di “esternalità positive”. Gli investimenti nella ricerca astrofisica e nello sviluppo di tecnologie spaziali generano esternalità positive, ovvero benefici indiretti che si estendono oltre il campo scientifico. Ad esempio, le tecnologie sviluppate per i telescopi spaziali possono trovare applicazioni in altri settori, come la medicina o l’ingegneria dei materiali.

Quindi, cosa significa tutto questo per noi, esseri umani che vivono su questo piccolo pianeta blu? Significa che la nostra curiosità e la nostra sete di conoscenza ci spingono a esplorare l’universo e a cercare di comprendere i suoi misteri più profondi. Significa che gli investimenti nella ricerca scientifica e nello sviluppo tecnologico non sono solo un costo, ma un investimento nel nostro futuro. E significa che la space economy, con il suo potenziale di generare beni pubblici globali ed esternalità positive, può svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere il progresso scientifico e il benessere dell’umanità.

Immagina di poter viaggiare nello spazio e osservare da vicino questi colossi cosmici. Forse un giorno sarà possibile, grazie agli sforzi congiunti di scienziati, ingegneri e visionari che lavorano per rendere l’esplorazione spaziale più accessibile e sostenibile. Nel frattempo, possiamo continuare a sognare e a lasciarci ispirare dalle meraviglie dell’universo.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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