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- Ipotesi del Pianeta Nove nata nel 2016 da anomalie orbitali.
- Massa stimata tra 7 e 17 volte quella terrestre.
- Distanza dal sole tra 500 e 700 unità astronomiche (UA).
- Analisi di dati infrarossi di satelliti IRAS e AKARI.
- Separazione angolare tra 42 e 69,6 minuti d'arco.
- Nettuno orbita a circa 30 UA, Pianeta Nove fino a 1.120 UA.
Oggi, 3 maggio 2025, il dibattito sull’esistenza del “Pianeta Nove” si arricchisce di un nuovo, potenziale tassello. Un team internazionale di astronomi, guidato da Terry Long Phan dell’Università Nazionale Tsing Hua di Taiwan, ha individuato un oggetto celeste che potrebbe corrispondere all’elusivo corpo planetario ipotizzato ai confini del nostro Sistema Solare. La scoperta, basata sull’analisi di dati infrarossi raccolti a distanza di 23 anni da due satelliti spaziali, potrebbe rappresentare una svolta nella lunga e complessa ricerca di questo misterioso pianeta.
L’ipotesi del Pianeta Nove: un’anomalia orbitale da spiegare
Il concetto del noto Pianeta Nove, introdotto nel contesto scientifico nel corso del 2016, è frutto dell’opera degli astronomi visionari come Konstantin Batygin e Mike Brown, associati al California Institute of Technology. Questi scienziati hanno avanzato l’ipotesi secondo cui le peculiarità orbitali riscontrate in alcuni oggetti presenti nella fascia principale conosciuta come Kuiper – composta da vari corpi ghiacciati oltre il limite dell’orbita nettuniana – potrebbero trovare spiegazione nell’esistenza di un corpo celeste massiccio non ancora identificato attraverso osservazioni dirette. Le attuali valutazioni indicano che tale corpo ipotetico avrebbe una massa stimabile fra 7 e 17 volte superiore a quella terrestre ed effettuerebbe orbite attorno al Sole a distanze approssimative comprese fra le 500 e le 700 unità astronomiche (UA). Da notare come un’unica unità astronomica equivalga alla media della distanza esistente tra il nostro pianeta Terra ed il Sole stesso: circa 150 milioni di chilometri.
Intraprendere la ricerca per rintracciare il Pianeta Nove rappresenta indubbiamente una sfida ardua; infatti, date le sue notevoli distanze effettive rispetto al Sistema Solare interno insieme all’influenza limitata delle radiazioni solari su tale entità celeste, gli scienziati hanno scelto percorsi alternativi d’indagine basandosi sull’impiego dei dati infrarossi per evidenziare l’eventuale esistenza d’oggetti caratterizzati da basse temperature ed emissione luminosa ridotta.

L’analisi dei dati infrarossi: un candidato promettente
Una promettente possibilità emerge dall’esame dei dati a infrarossi: il gruppo di Phan ha vagliato i dati ottenuti dal satellite IRAS (Infrared Astronomical Satellite) nel 1983, e dal satellite nipponico AKARI, in funzione fra il 2006 e il 2011.
Concentrandosi sull’AKARI-MUSL (AKARI Far-Infrared Monthly Unconfirmed Source List), gli studiosi hanno scandagliato il firmamento alla ricerca di corpi celesti con uno spostamento graduale nel corso di 23 anni, una caratteristica tipica di un pianeta remoto.
Un’analisi scrupolosa ha permesso di isolare un singolo candidato che presenta le proprietà attese: una “separazione angolare compresa tra 42 e 69,6 minuti d’arco” e l’assenza di rilevazioni di altri oggetti nella medesima posizione in entrambi i periodi di osservazione.
La “separazione angolare” indica la distanza apparente nel cielo tra due punti, misurata in minuti d’arco. In questo caso, la separazione angolare riscontrata implica un lieve spostamento dell’oggetto nel cielo in 23 anni, un comportamento coerente con un corpo celeste molto distante, come il potenziale Pianeta Nove.
Valutando la quantità di luce catturata nelle immagini a infrarossi fornite da IRAS e AKARI, Phan suppone che la massa dell’oggetto individuato possa surclassare quella di Nettuno. Tale scoperta ha sorpreso il team di ricerca, che inizialmente si era posto l’obiettivo di trovare un corpo celeste simile a una super-Terra.
Le sfide e le incognite: un’orbita da definire
Sebbene il candidato selezionato sembri promettente, le informazioni attualmente disponibili non consentono una definizione precisa della sua orbita né una valida conferma della sua essenza planetaria. Il gruppo di ricerca sta programmando ulteriori studi avvalendosi della Dark Energy Camera (DECam), uno strumento capace di identificare oggetti poco luminosi attraverso esposizioni lunghe all’incirca un’ora.
Un altro aspetto ancora da chiarire concerne la traiettoria prevista per quello che viene indicato come Pianeta Nove. Qualora fosse reale, quest’oggetto celeste potrebbe seguire un’orbita situata a distanze variabili tra 280 e 1.120 UA rispetto al Sole, superando notevolmente il campo dei pianeti conosciuti fino ad ora; infatti, Nettuno – riconosciuto come l’ultimo tra i corpi planetari accertati – orbiterebbe solamente a circa 30 UA dal nostro astro centrale.
Phan suggerisce due possibilità: uno scenario implica che questo potenziale nuovo mondo abbia preso forma nelle vicinanze del Sole prima di essere forzatamente espulso verso le regioni periferiche attraverso interazioni gravitazionali risalenti ai primordi del nostro Sistema Solare; l’altra teoria contempla invece l’eventualità che possa trattarsi di un piano vagante accolto dall’attrazione solare.
Pianeta Nove: una sfida scientifica e una finestra sul Sistema Solare
L’indagine sull’ipotetico Pianeta Nove trascende la semplice dimensione scientifica: essa offre anche un’importante opportunità per affinare le nostre conoscenze sul Sistema Solare. La possibile convalida della sua esistenza permetterebbe non solo di chiarire l’orientamento insolito delle orbite degli oggetti situati nella fascia di Kuiper, ma altresì spiegherebbe il movimento retrogrado registrato da alcuni corpi celesti. Tale scoperta contribuirebbe inoltre a sanare una lacuna critica nel panorama dei pianeti conosciuti nel nostro sistema, avvicinandolo agli altri sistemi planetari studiati nell’immensità della galassia.
Il cammino verso questa scoperta continua instancabilmente; se davvero il Pianeta Nove dovesse risultare reale, è probabile che possa essere catturato direttamente nei nostri telescopi entro breve tempo – un evento capace di rivoluzionare la nostra concezione relativa al funzionamento del sistema solare stesso.
Un’eco lontana: implicazioni per la Space Economy
La potenziale esistenza del Pianeta Nove rappresenta non solo un punto d’interesse scientifico ma anche una sorgente di domande affascinanti legate alla space economy. L’indagine su questo corpo celeste incita progressi nelle tecnologie destinate all’osservazione dell’universo e nell’elaborazione dei dati raccolti; ciò ha ripercussioni favorevoli su molteplici ambiti.
Una nozione elementare pertinente alla space economy in questo contesto è quella dello spinoff tecnologico. Le innovazioni create nella fase di esplorazione del Pianeta Nove—tra cui spiccano i telescopi infrarossi altamente sensibili e sofisticati algoritmi dedicati all’analisi dei dati—potrebbero essere adattabili ad altre aree quali medicina moderna, agricoltura di precisione ed eco-monitoraggio.
D’altro canto, merita attenzione anche il possibile sfruttamento delle risorse presenti sul pianeta menzionato se dovesse rivelarsi abitabile o carico di sostanze preziose. Anche se tali prospettive restano ancora lontane dalla realtà odierna, stimolano una continua innovazione nelle metodologie necessarie per l’esplorazione spaziale e lo sfruttamento sostenibile delle risorse astrofisiche; un campo in netta espansione. Il percorso verso la scoperta del Pianeta Nove sottolinea come l’avventura nello spazio trascenda il mero ambito della scienza. In effetti, essa si erge a simbolo di progresso tecnologico ed espansione economica. Questo progetto suscita una profonda riflessione riguardo alla funzione potenziale dello spazio nell’evoluzione umana, ponendo in evidenza le vaste possibilità offerte per innovazioni tecniche e modelli imprenditoriali emergenti.